Attori protagonisti: Massimo Artusi
Intervista al presidente di Federauto per capire che aria tira nelle concessionarie italiane
Un mercato in sofferenza quello dei veicoli da lavoro in Italia. Nel primo semestre i commerciali con peso totale a terra fino a 3.500 kg si sono fermati a 98.832 immatricolazioni, l’11,7 per cento in meno rispetto allo stesso periodo 2024, gli industriali, ossia gli over 3.500 kg hanno chiuso sotto le 15mila unità, 14.538 per l’esattezza, -13,3 per cento. Tante le motivazioni: un quadro economico reso complesso da un forte clima di incertezza con più fronti di guerra e tensioni sui dazi, listini alle stelle soprattutto per quanto riguarda i veicoli elettrici, quelli sui quali vorrebbe puntare l’Europa ma che oggi non trovano il favore del mercato e necessiterebbero di un piano incentivante chiaro che, invece, non c’è. E nel dubbio sono molti gli operatori che rimandano gli acquisti. Tutto ciò ha un impatto sui costruttori, come sulle concessionarie. E proprio di queste ultime abbiamo parlato con Massimo Artusi, da marzo 2024 presidente Federauto.
Qual è lo stato di salute oggi delle concessionarie italiane?
«Le concessionarie sono il termometro del mercato. In questo periodo non sta bene e, dunque, non stanno passando un momento favorevole. Ma, attenzione, per restare nella metafora sanitaria, le concessionarie italiane - auto, truck e van - nell'ultimo decennio hanno costruito i propri anticorpi: si sono consolidate, hanno ampliato i servizi al cliente, hanno rafforzato la loro presenza sul territorio. Il risultato è che oggi si contano 1.100 imprese (erano oltre 2 mila nel 2011), ma il fatturato medio è aumentato. Questo ci permette non solo di fronteggiare le difficoltà del mercato ma anche di impegnarci - e di avere titolo per farlo - perché vengano rimosse le cause che sono all'origine delle stesse».
Nel 2021 aveva definito le concessionarie truck e van ‘ammortizzatori del sistema’. È ancora così?
«Non solo quelle di truck e van. Se leggiamo gli ultimi dati, vediamo che ad agosto le auto immatricolazioni di automobili sono aumentate del 42 per cento. Cos'è questa auto-vendita - o auto-acquisto - se non un elemento di stabilizzazione del mercato nel rapporto tra produttore e clientela? Per quanto riguarda truck e van si aggiungono altre concause - la crisi endemica del settore, la carenza di autisti, una politica spesso assente - che rendono ancora più difficile questo nostro ruolo. Certamente il nodo centrale per i veicoli da lavoro (soprattutto quelli pesanti) resta quello della decarbonizzazione, praticamente inattuabile nelle forme che la Commissione europea vuole imporre. Difficile ammortizzare un sistema nel quale si contrappongono così radicalmente il realismo e l'utopia».
Quali sono stati i progressi concreti nel dialogo con istituzioni europee e ministeri dopo il meeting ‘Autotrasporto e Sostenibilità̀’ dello scorso febbraio? «Quello di febbraio è stato un bel momento d'in- contro del settore, perché per la prima volta sono stati messi intorno allo stesso tavolo i principali protagonisti del settore: costruttori, concessionari, imprese. E anche i decisori non hanno fatto mancare la loro voce, almeno quelli più favorevoli a una pluralità tecnologica. Risultato concreto: il posizionamento fondamentalmente unico della filiera verso una transizione più realista e meno utopistica. Conoscendo i tempi di elaborazione dell’Europa, che comunque sembra iniziare a recepire alcune indicazioni, di più non potevamo sperare. Alcune linee di mutamento cominciano a intravvedersi, anche se la battaglia principale è concentrata sul mondo delle auto private, i veicoli commerciali e industriali vengono quasi di- menticati. Salvo reinserirli con un preoccupantissimo obbligo di quote elettriche negli acquisti delle flotte. A questa improvvida imposizione di natura esclusivamente ideologica, senza nessun fondamento nel mondo reale, ci opponiamo e ci opporremo con tutte le nostre forze. Siamo convinti che il governo italiano che ha già chiesto con chiarezza una maggiore apertura ai combustibili carbon neutral, raccogliendo sempre maggiori consensi all'interno dell'Unione, non ci farà mancare il suo appoggio. Entro la fine dell'anno, quando la Commissione dovrà produrre il suo rapporto sulla praticabilità e sui vantaggi nell'impiego dei biocarburanti nei veicoli pesanti, capiremo le reali intenzioni di Bruxelles su questo tema fondamentale per l'economia della stessa Unione. Ci auguriamo che ci sia un ravvedimento, ma temiamo forte- mente che ancora una volta cercheranno di eludere il problema, scansando quello che è un ostacolo obiettivo sulla strada tutta ideologica dell'elettrificazione totale dei trasporti».
Le immatricolazioni di lcv e truck stanno frenando come quelle di auto. Quali le principali ragioni?
«Il mercato è sconcertato e lo è da troppo tempo. Chi svolge un'attività imprenditoriale, come gli acquirenti dei veicoli commerciali e industriali - dal piccolo artigiano alla grande impresa di trasporto - deve programmare i propri investimenti, non può tenere i capitali immobilizzati a rischio di perdere valore. Ma se non trova veicoli adatti alla propria mission o ne trova a prezzi esorbitanti, finisce o per ripiegare su scelte sicure o per rinviare l'acquisto a tempi migliori. Un cambiamento di rotta del Green Deal europeo - richiesto ormai anche dagli stessi costruttori - potrebbe essere un toccasana per il mercato perché lo sarebbe per le imprese che i veicoli li acquistano».
Il rapido esaurimento degli incentivi per veicoli pesanti è un segnale di domanda alta o criticità nell’erogazione? «È esattamente la conseguenza di quei concetti che enunciavo prima, ai quali si aggiunge una politica di incentivazione incoerente e disordinata. Si vuole rinnovare il parco circolante dei mezzi commerciali (ha un'età media di oltre 14 anni), ma poi si tagliano 12 milioni dai 240 assegnati ogni anno all'autotrasporto e, nella ripartizione - tra deduzioni forfettarie, pedaggi e formazione - quei 12 milioni vengono tolti proprio agli investimenti, salvo poi recuperarne 6 all'ultimo momento, anzi 12, ma per due anni. Risultato: quest'anno e il prossimo (salvo ulteriori cambiamenti) agli investimenti saranno destinati 19 milioni, anziché 25. È ovvio che ci sia la corsa all'incentivo».
Cosa vi aspettate su questo fronte?
«Siamo ancora in attesa dei 600 milioni promessi a più riprese dal ministro dei Trasporti, Matteo Salvini. Ma, attenzione, non si tratta di un intervento di tipo assistenziale, erogato a pioggia. È dal novembre del 2023 che insieme ad Anfia, Anita, Unatras e Unrae, abbiamo proposto al ministero un Piano finalizzato all'acquisto di veicoli carbon neutral, allo sviluppo delle infrastrutture per i veicoli a basse emissioni, alla promozione dell'uso dei carburanti rinnovabili. Abbiamo anche indicato procedure di erogazione trasparenti, rapide e semplici e, perfino, la fonte del finanziamento (la richiesta era di 700 milioni per tre anni con una graduazione crescente) nelle risorse non utilizzate del cosiddetto ‘Fondo Giovannini’, stanziate nel 2022 per sostenere la transizione ecologica del settore dei trasporti. Ma al momento di quei fondi si è persa ogni traccia».
Ha spesso ribadito l’importanza della neutralità tecnologica. I trasporti po- tranno essere, comunque, sostenibili? «La neutralità tecnologica non è una nostra invenzione: è il criterio adottato storicamente dall'Unione Europea che ha sempre fissato i tra- guardi, lasciando al mercato la scelta delle tec- nologie per raggiungerli. Tranne che nel Green Deal e in particolare nel programma Fit for 55, che ne è la sua applicazione. In questo caso, per la prima volta, la Commissione ha creato un'impalcatura di regole che obbligano, di fatto, a scegliere la trazione elettrica, escludendo le altre. Ma proprio per arrivare a quest'obbligo di fatto, senza esplicitare direttamente la scelta elettrica, l'impalcatura normativa è piena di bu- chi e di contraddizioni: la più clamorosa è il computo dell'impatto carbonico che, per favorire la batteria, viene calcolato soltanto dal motore al tubo di scarico, ignorando i fattori a monte e a valle che rendono il propulsore elettrico spesso più impattante dei biocarburanti. A differenza dei fan del tutto elettrico a tutti i costi, noi non siamo per un solo vettore, ma per un mix di alimentazioni carbon neutral che consenta di scegliere di volta in volta quella più adatta alla singola mission. L'esempio più clamoroso è proprio nel settore del trasporto merci pesante: più aumentano il peso del veicolo, la distanza da percorrere e la variabilità del percorso, meno la trazione elettrica è praticabile. Lo dimostra il fatto che nel 2024 in Italia sono stati immatricolati soltanto 24 vei- coli commerciali pesanti sopra le 16 tonnellate. A questo punto è evidente che, fermo restando l'obiettivo condiviso di rendere sostenibile il settore dei trasporti - non si possono trascurare oltre i carburanti biologici».
Quali strumenti o supporti potrebbero accompagnare meglio anche la tran- sizione green dei dealer?
«Ho sempre tenuto a precisare che il concessionario è un osservatore indipendente, perché è il soggetto della filiera più vicino al mercato. Detto in parole semplici, la mission del concessionario è quella di distribuire veicoli, non di decidere quale deve essere la loro motorizzazione. Se il mercato dovesse riorientarsi verso i veicoli a batteria (il che, però, al momento non appare probabile), i concessionari non avrebbero difficoltà a offrirli ai propri clienti, accompagnandoli nella loro scelta - e anche dopo - esattamente come hanno sempre fatto con i veicoli con motore a combustione. Non è solamente un problema di formazione o di preparazione o di competenze, ma semplice- mente di mercato. Certamente un mondo con più veicoli elettrici significa costi maggiori per tutti con tutte le conseguenze che comporta».
Quanto i servizi contano oggi per i dealer? Accresceranno il loro peso? «Ormai la vendita pura e semplice del veicolo è solo una parte dell'attività dei concessionari, ma resta pur sempre il core business. Intorno ad essa gravita poi un mondo di servizi che l'aumento dell'impiego di tecnologie non può che enfatizzare. Penso all'utilizzo dei big data che gli autoveicoli producono in quantità sempre più rilevanti e che porteranno a sviluppare nuove aree di business e nuove modalità di mercato dei servizi, fidelizzando il cliente e creando le condizioni più efficace per consentirgli di gestire al meglio la propria attività. Un ragionamento che acquista maggior rilevanza proprio per i veicoli commerciali: una gestione efficacie aumenta la reddittività».
Come vede l'evoluzione del rapporto dealer-costruttore nei prossimi anni? «Quella attuale è una fase di trasformazione, an- che abbastanza confusa. Fermo restando che il rapporto tra questi due soggetti è determinante per la fluidità del funzionamento della filiera, stiamo vivendo da una parte il tramonto di un'interpretazione del Regolamento V/BER che avrebbe voluto trasformare le concessionarie in agenzia, togliendo loro la valenza imprenditoriale; dall'altra la pressione delle case che si rivolgono ai con- cessionari, proprio in quanto imprenditori, perché acquistino i veicoli prodotti in soprannumero per rispettare le quote e le scelte imposte dall'Europa (ma, diciamo la verità, avallate, soprattutto al- l'inizio, dagli stessi costruttori). È importante che la questione della decarbonizzazione trovi presto una soluzione realistica, per- ché ciò contribuirebbe anche a riequilibrare i rap- porti - ripeto, determinanti per la filiera - tra costruttori e concessionari».
Sui contratti di agenzia molti costruttori stanno facendo un passo indietro... «L'ho accennato prima. Trasformare il concessionario in agente può avere creato qualche illusione sulla possibilità di ampliare i margini per i costruttori, ma è ormai evidente che la forza dei concessionari è radicata nella loro presenza diffusa sul territorio, sulle economie che riescono a presidiare e nel rapporto diretto, continuo e costante con il cliente. Anche in questo caso il ragionamento è ancor più valido per i veicoli per il trasporto delle merci, ciascuno dei quali ha una sua specificità legata al cliente e alle caratteristiche della mission alla quale è destinato. La crescita dimensionale dei concessionari di cui parlavo all'inizio è al tempo stesso la dimostrazione delle loro capacità imprenditoriali e della forza della loro presenza sul territorio, dove sono sempre di più i protagonisti del rapporto con il cliente. Insomma, il concessionario-imprenditore è più utile ai costruttori di un agente-dipendente. Per fortuna in molti hanno cominciato a capirlo».
C’è spazio ancora anche per i piccoli operatori o il mercato che va delineandosi vedrà la presenza solo di giganti?
«Non dimentico mai che la piccola e media impresa sono state - e sono tuttora - la vera forza dell'imprenditoria italiana ed europea. Ma la competizione sempre più aspra, l'evoluzione della tecnologia, l'appesantimento della burocrazia e ‘la finanza d’impresa’ creano oggettive difficoltà a chi non ha dimensioni in grado di ottimizzare i costi con economie di scala. Dunque, è importante crescere ma mai a scapito del margine. Federauto esiste anche per questo: per aiutare nello sviluppo chi non ha dimensioni tali da poter affrontare la competizione internazionale ad armi pari».
Quali sono oggi le sue priorità da presidente di Federauto?
«Quando sono stato chiamato a questo incarico ho messo al primo punto l'impegno a premere attivamente sui decisori nazionali e internazionali per far riconoscere il ruolo e l'importanza dei concessionari, in Italia e in Europa. Oggi siamo presenti in Italia, a tutti i tavoli in cui si decidono le sorti dell'intera filiera dell'automotive, e in Europa, attraverso AECDR, l'associazione europea dei concessionari, monitoriamo costantemente le attività istituzionali dell'Unione, assumendo spesso posizioni critiche, da soli se necessario o in accordo con altre rappresentanze della filiera, ove possibile. Credo che nessuno possa accusarci di aver non dico chiuso, ma nemmeno socchiuso un occhio su tutte le posizioni espresse in questi anni dai vari soggetti in campo, esprimendo ogni volta il nostro fermo dissenso su quelle più ideologizzate, anche quando altri protagonisti della filiera l'occhio lo strizzavano intenzionalmente. Che sono gli stessi che oggi gli occhi sembrano averli definitivamente aperti e con noi chiedono finalmente un'inversione di rotta alla Commissione».