Come sono cambiati i camion negli ultimi quarant’anni
L’evoluzione al servizio degli autisti
C’era una volta il mito dell’autista, un mestiere duro da 'uomini veri'. Oggi non è più così, tant'è che anche il gentil sesso trova sempre più spazio dietro al volante. Il lavoro a cui è chiamato chi guida un camion è assai meno gravoso, se non altro dal punto di vista fisico e mentale. Merito della tecnologia, che ha evoluto i veicoli per agevolare chi a bordo ci passa buona parte della sua giornata. E, a volte, anche dell’intera vita (pensando a chi fa il lungo raggio), che va salvaguardata al pari di quella degli altri utenti della strada: evoluzione, perciò, fa rima con sicurezza. Vediamo negli ultimi quarant’anni come è cambiato il camion, diventando innegabilmente più facile da condurre. Suddividiamo l’argomento per facilità di lettura in tre grandi capitoli: le trasmissioni, i sistemi di ausilio alla guida e l’ambiente di lavoro, argomenti assai più collegati fra loro di quanto si possa immaginare.
Tutta questione di ingranaggi
Presa confidenza con le dimensioni e dando per scontato il servosterzo, che su camion e autobus è diventato di serie già negli anni Sessanta, uno dei punti qualificanti del bravo autista era la capacità di cambiare bene al momento giusto e... senza grattare. Faccenda tutt’altro che banale quando le marce erano tante (più di adesso) e spesso non sincronizzate. Chi ha avuto a che fare con un Eaton Fuller lo sa bene: bastava poco a sbagliare un rapporto e piantarsi in salita o, peggio, in discesa col motore spento. Poi, come ci entravi in trattoria con i colleghi che non vedevano l’ora di sfotterti? Senza contare che rimanere in folle in discesa è pericoloso, mentre ripartire da fermo in salita con le potenze non troppo esuberanti dell’epoca poteva essere impresa ardua, specie per le frizioni.
La svolta è arrivata dal lato motore con il controllo elettronico dell’iniezione. Se da una parte l’Edc ha permesso di limitare le emissioni nocive, dall’altro ha fatto sì che il propulsore non si 'affogasse' mai qualunque fosse la marcia innestata (entro certi limiti). La prima in Europa col gasolio dosato dai chip fu Scania, poi capitolarono tutti gli altri. Prima ancora, la ZF cominciò a dotare il suo 16 marce Twin Splitter di automatizzazione Eps: rimaneva il pedale della frizione, ma le marce almeno entravano da sole senza spingerle fisicamente, semplicemente dando l’input con una piccola leva priva di resistenza. Era cominciata la transizione verso i cambi robotizzati: meccanici come quelli di prima, tuttavia autonomi negli innesti, con attuatori inizialmente esterni e poi sempre più integrati. Nel frattempo anche per la classica leva dei manuali sono arrivati dei supporti come il Servoshift della ZF, finché MAN non presenta sul TgA nel 2000 un tastino sulla leva che permette di cambiare senza usare il pedale della frizione.
Però la direzione era ormai chiara, di lì a poco cambiare non sarebbe più stato un problema dell’autista, per lo meno sul lungo raggio. L’ascesa degli automatizzati era cominciata prima del decennio precedente: c’era il Samt della Eaton per Iveco e MAN, mentre il Cag della Scania faceva il paio con il Geartronic di Volvo. Il mercato, però, era abbastanza freddo, nel senso che li richiedevano solo al Nord. E mentre a Göteborg (Volvo) propongono anche un automatico vero con convertitore, Renault lancia il suo Tbv a 18 marce. La svolta vera avviene nel 1995, quando ZF lancia la piattaforma As Tronic destinata a divenire la più diffusa nel decennio successivo: è Iveco che la adotta per prima, ribattezzandola Eurotronic. Mentre Mercedes-Benz che ha cominciato a farsi da sola le trasmissioni, passa dall’Eps al Telligent con l’avvento dell’Actros (1996). Intanto l’automatizzato Scania diventa definitivamente l’Opticruise, con la frizione per partire e fermarsi; mentre alla Volvo ci sarà un secondo Geartronic senza fortuna, prima di approdare definitivamente all’I-Shift nel nuovo Millennio.
A quel punto l’As Tronic sarà il servitore di quattro padroni: Daf ultima arrivata, Iveco sempre fedele, MAN strappata alla Eaton e Renault che ha rinunciato alle sue cervellotiche trasmissioni (almeno fino al 2005, quando sposerà Volvo e le sue catene cinematiche). Intanto alla Mercedes-Benz il Telligent lascia il posto al Powershift senza sincronizzatori come lo ZF As Tronic e il Volvo I-Shift. L’unico a mantenerli rimane lo Scania Opticruise che, se non altro, perde il pedale della frizione; gli ci vorranno altri quindici anni per allinearsi, al lancio della catena cinematica Super che finirà pure sui MAN da lungo raggio, facendo così perdere altri clienti alla ZF. In verità a Friedrichshafen per un po’ si sono consolati coi Ford Trucks, prima che pure questi passassero a un cambio autocostruito.
Il mezzo prende potere
Il camion che cambia da solo è un passo importante nella sua evoluzione, perché la gestione della trasmissione non può prescindere da un cervello elettronico che dialoga con quello del motore. Non meno fondamentale è stato il controllo EBSdei freni: debutta in serie con gli Scania Serie 4 nel 1995 insieme all’impianto integralmente a dischi, di fatto un upgrade dell’ABS testato già a metà degli anni Ottanta da Mercedes e divenuto obbligatorio sui truck dal 1993. In questo hanno facilitato i freni a disco, che sui camion, almeno davanti, c’erano già dal 1988 sul Renault R 380 e due anni dopo sull’Ae/Magnum: fino ad allora tutti i guidatori di mezzi pesanti dovevano vedersela con tamburi facili al surriscaldamento e inclini al bloccaggio. E meno male che nel decennio precedente erano spuntati i rallentatori idraulici (ZF, Voith e Scania) ed elettromagnetici (Telma): costosi e pesanti, ma salvifici specie in discesa.
Per chi voleva spendere meno e portare di più, negli anni Novanta arrivarono i primi freni motore potenziati importati dall’America, tutti basati sul Jakobs Brake a decompressione: Mercedes varò la valvola Kd, MAN l’Evb, Daf il Deb e Volvo il Veb, più tardi Iveco lanciava il turbobrake che strozzava la turbina. Con la catena cinematica e l’impianto frenante governati dall’elettronica è poi stato più facile implementare i sistemi di gestione automatici. Dal cruise control, divenuto prima adattivo (Mercedes), con l’aggiunta di un radar che lo regolava a seconda del veicolo davanti, e poi predittivo (Scania nel 2011) quando lo si è fatto dialogare con le mappe tridimensionali dei navigatori satellitari (apparsi a fine Novanta) per sfruttare l’inerzia e scalare il meno possibile. E se il camion può accelerare e frenare per suo conto, guidarlo diventa un gioco per l’autista.
Perché? Perché se si distrae o se sbaglia o se perde il controllo, ci sarà qualcuno a dargli una mano o persino a insegnargli come si può sfruttare meglio il mezzo: è il camion stesso! Salgono a bordo i primi 'maestri di efficienza' virtuali che danno i voti al vostro stile di guida, ma soprattutto entriamo così nel capitolo dei dispositivi di ausilio alla guida, i cosiddetti ADAS. I primi ad apparire all’alba del nuovo Millennio furono gli ESP o controlli antisbandamento, che lavoravano sull’indispensabile EBS per frenare selettivamente le singole ruote a tenere in carreggiata il veicolo fuori controllo. Quindi fu la volta del controllore di corsia, che con l’ausilio di una telecamera frontale avvisava in caso di uscite involontarie: lo monteranno per primi i MAN TgA fin dal 2005.
Una decina d’anni dopo, con l’arrivo dei motorini elettrici sulle colonne dello sterzo, il sistema è diventato attivo: non si limita a controllare che il veicolo non abbandoni la corsia, ma lo mantiene addirittura in traiettoria agendo sul volante: pionieri sono stavolta quelli della Volvo, che peraltro già dal 2008 avevano messo sul montante lontano dall’autista una spia rossa che avvisava se nell’angolo cieco c’era qualcosa o qualcuno da evitare. Negli stessi anni Mercedes-Benz inizia a sperimentare sul camion, dopo averli messi sulle berline di alta gamma, sistemi di frenata automatica (ABA) sempre più precisi e sofisticati: i primi lo rallentano solamente per mitigare l’impatto con l’auto ferma davanti, poi arriveranno a fermarlo del tutto anche con l’auto in lento movimento; segue la percezione degli ostacoli generici, poi dei pedoni e quindi dei bambini, anche provenienti da traiettorie convergenti o parallele. Tedeschi e svedesi faranno scuola, gli altri si accodano.
Il risultato è che si comincia a parlare seriamente di guida autonoma e il primo esempio arriverà dagli Stati Uniti nel 2015, dove un Freightliner (gruppo Daimler) comincerà a muoversi per le highway americane senza che l’autista debba fare nulla. Certo, situazioni ambientali diverse dalle nostre, tant'è che al di qua dell’Oceano Atlantico nel frattempo si è parlato ciclicamente di Platoonig, il progetto di far viaggiare i camion in colonna con solo il capofila davvero in mano al conducente e tutti gli altri 'agganciati' virtualmente.
L’abitacolo è importante, per ora
La disponibilità di tutta questa tecnologia ha comportato una trasformazione dell’interfaccia uomo/macchina, plancia e comandi in particolare. Insomma, l’autista al volante si è via via trasformato un po’ in impiegato alla consolle, a volte addirittura in ingegnere informatico vista la quantità di opzioni rese disponibili dai nuovi camion. Ed è sicuramente la parte della cabina che più ha subito la metamorfosi in tempi recenti, nel resto l’ambiente di lavoro è rimasto sostanzialmente quello degli anni Settanta: sedili, volante e cruscotto davanti, zona notte dietro. Però non è del tutto vero, solo che gli autisti moderni non lo sanno.
A metà degli anni Ottanta, per esempio, cominciavano ad arrivare le sospensioni pneumatiche: prima per il ponte di trazione, poi anche per la stessa cabina, che nel frattempo si fa più alta per garantire maggiore abitabilità: il Daf 95 Space Cab è il capostipite in Europa, mentre in America il problema non viene percepito da che i musoni il motore l’hanno messo fuori dall’abitacolo e dietro sono conformati come veri e propri monolocali attrezzati. Da noi i limiti sulle lunghezze non lo consentiranno mai, per quanto delle opzioni a cabina arretrata comunque si troveranno nei listini dei costruttori fino ai primi Duemila. Sui nostri cabover, il pavimento piatto, ovvero privo del tunnel motore, nel Vecchio Continente ci arriverà lo stesso: nel 1990 con il Renault Ae/Magnum, imitato dal Mercedes Actros MegaSpace nel 1996 e dallo Scania S nel 2016, tralasciando che la MAN c’era già arrivata nel 1989 con i trattori derivati dal prototipo Uxt unterflur, con il motore arretrato e orizzontale fra gli assali.
Sedili e piantoni dalle escursioni sempre più ampie, oggi permettono di adattare la posizione a ogni gusto e corporatura, senza contare la comparsa di airbag anche a tendina sulle porte (Scania la 'portatrice sana') e una struttura molto più solida e indeformabile in caso d’urto. Tutto utile, almeno finché di un abitacolo ci sarà ancora bisogno, dal momento che in qualche caso lo si è già eliminato con buona pace del mestiere dell’autista, per certi impieghi fatto fuori ancor prima che si cominciasse a parlare di Intelligenza Artificiale.