Evoluzione della forma

Quarant'anni di aerodinamica: ecco come sono cambiati i camion in quasi mezzo secolo

Negli anni Ottanta i camion hanno abbandonato le forme tondeggianti dei predecessori e le cabine si sono fatte sempre più squadrate per regalare spazio a chi le deve occupare, tenendo conto che i viaggi si fanno sempre più lunghi e la permanenza a bordo anche di notte per intere settimane lo impongono sempre più spesso. Purtroppo, quella del parallelepipedo non è la forma migliore per fendere l’aria, spreca potenza che potrebbe più utilmente essere messa a terra, ovvero consuma più carburante a parità di prestazioni.
Il concetto di efficienza passa per motori e trasmissioni, non a caso a metà di quella decade s’impongono i ponti di trazione a singola riduzione. Anche in tema di design si comincia a osare, per lo più sulla carta. 
Del resto, è sempre da lì che si parte, poi, se il disegno piace ai manager che decidono, si passa ai modelli in scala ridotta: Iveco all’epoca è fra i pochi costruttori che ha una galleria del vento per cabine 1:3. Se funzionano, si riportano in proporzioni reali e si comincia a verificarne l’abitabilità e la compatibilità con le meccaniche esistenti o, comunque, da non inventare da zero, perché nel mondo del camion quasi mai un motore inedito ha debuttato insieme a una cabina altrettanto nuova. Alcuni modelli hanno la fortuna di diventare dei concept truck effettivamente funzionanti, come un prototipo di autocarro Mitsubishi che, ancora nel 1985, dichiarava uno strepitoso Cx: 0,38 contro i comuni 0,5-0,6 dell’epoca. 

Dal Nord il concetto Lego 

Sono gli anni del Renault Virage VE10, prologo dell’Ae/Magnum, ma è anche il momento in cui i cataloghi dei costruttori si allargano con modelli diversificati per missione, possibilmente utilizzando parti comuni per le cabine che, per contenere i costi, diventano modulari: Scania fa scuola con la serie 2. Nel 1991 appare il pri-mo camion progettato da Luigi Colani con l’abitacolo a bolla sospeso sulla base meccanica addirittura dell’Iveco 170, che più tardi diventerà quella del Mercedes-Benz 1838 S per una piccola serie e chiuderà l’esistenza come show truck su un telaio Daf. Tuttavia sarà l’IAA 92 il palcoscenico dell’aerodinamica, coi progetti Mercedes-Benz EXT-92 e Man Slw 2000: il primo era un profilato articolato che non trascurava neppure le forme del semirimorchio che, oltretutto, grazie a una ralla mobile si avvicinava alla cabina nella marcia alle velocità autostradali per evitare turbolenze; il secondo era un medio con motore inclinato di 90 gradi a destra, cambio Zf automatico a 9 marce e trazione anteriore (tutto sotto al pavimento piatto), ante- nato del CitE, prototipo elettrico del 2018. 

Al camion spuntano le ali 

(descrizione)A metà degli anni Novanta arrivano le cabine super rialzate per tutti o quasi, così si pone il problema di come raccordarle all’allestimento che ci sta dietro. È l’ora degli spoiler, prima sul tetto e poi ai lati posteriori; spuntano anche le bandelle laterali, sotto al paraurti, la controversa visiera parasole (prima consigliata, oggi in via di sparizione) e persino le minigonne, oltre che per il trattore, per il sempre trascurato semirimorchio. I risultati arrivano, perché un Man 19.422 super profilato e spoilerato, in un test stampa a 40 tonnellate sfiora i 25 litri per 100 km, cioè 4 km/l quando una media dei due e mezzo all’epoca era cosa per nulla scandalosa. Nel 1989, alla Renault non s’accontentano del Magnum già in produzione ed esplorano altri territori evolvendo il prototipo Virage VE20 che già era una specie di astronave (telaio d’alluminio, sospensioni indipendenti e motore semisdraiato sopra al cambio): immaginano una cabina avanzata a guida ribassata e centrale che obbliga a spostare il motore al centro, messo però trasversalmente come sulla Lamborghini Miura! Troppo, forse. Perché nel mondo reale è la serie 4 Scania a materializzarsi, dove l’azzardo maggiore è sulle super rialzate Topline con il letto principale, finora invariabilmente quello basso, passa in mansarda e si fa alcova. E, infatti, verrà abiurato nell’evoluzione alla cabina R successiva. Nella realtà le cabine vanno a caccia di funzionalità, faticando a uscire dal solco della tradizione, se si esclude il pavimento piatto del Renault Magnum e del Mercedes Actros (solo la Megaspace), peraltro non da tutti apprezzato, tant’è che a oggi solo lo Scania S si è unito ai due. Nel 2004 il Radiance è la risposta aerodinamica della Renault, ancora su base Premium. Tre anni dopo le idee più fantasmagoriche si concentrano sulla facilità di carico e scarico con casse mobili di varie forme; ma gli abitacoli, tolto l’effetto wow, dimostrano che i designer non hanno mai vissuto in cabina a differenza degli autisti veri. Mentre, per incrementare la produttività, l’Europa pensa di aumentare le lunghezze delle combinazioni, cosa che la Renault sfrutta per varare il programma Optifuel Lab. Un trattato di aerodinamica, applicato a un articolato con trattore Premium, sempre lui, dotato di un musetto proprio come l’aveva immaginato la Scania; è pure dotato di una serie di spoiler, alcuni a geometria variabile in funzione della velocità. All’Iaa 2010 un Iveco attira l’attenzione, è il Glider che estremizza il concetto di forma anti-turbo- lenza su quella che, però, resta la cabina dello Stralis (l’arrivo di Marchionne ha seppellito per sempre la New Line del marchio torinese già in avanzata fase di sviluppo). In concreto c’è, comunque, il nuovo Actros, con la sua aerodina- mica ricercata: fin nei dettagli, come dimostra la tendina mobile sul radiatore. Alla Mercedes-Benz guardano anche al semirimorchio, con ruote carenate ed estrattore posteriore, oltre alla testata levigata e agli spoiler di coda: a onor del vero, tutti accorgimenti che si erano già visti sull’Optifuel Lab di Renault Trucks. Per convincere i clienti la casa della Stella stima un vantaggio annuo di 1.000 euro sul gasolio, esclusi i danni da manovre errate e carichi maldestri. 

Il momento della svolta 

Alla fine del primo decennio l’Unione europea allunga davvero le lunghezze massime dei truck, con l’obiettivo di migliorare tanto la sicurezza quanto l’aerodinamica, ovvero i consumi. Il Concept S della Man si materializza in scala reale, ma non semovente, due anni dopo aver tradotto in modellino la Vision -CO2, cioè la battaglia contro le emissioni di anidride carbonica della Casa di Monaco. Lo sviluppo dei camion spesso parte dei componentisti, ai cui stand appaiono addirittura ipotetiche cabine in scala reale, i più evoluti come Magna o di altri studi indipendenti sognano strutture bioniche, a caccia di sicurezza e leggerezza: design strutturale antropomorfo e fibra di carbonio per telai reticolari o con monoscocca che ingloba i serbatoi. Interessanti, ma troppo costosi e poco flessibili per vederli davvero su strada. Tornando al mondo reale, nell’ultimo decennio si moltiplicano i modelli ottimizzati all’efficienza tanto della catena cinematica, quanto dell’aerodinamica. Nella maggior parte dei casi si tratta di affinamenti quasi impercettibili: sigillature dei gap fra telaio e cabina, come fra questa e il semirimorchio; bandelle in gomma a prolungare minigonne e spoiler, sempre per limare qualche punto di Cx. L’aspetto più evidente è la sparizione degli specchi, sostituiti da telecamere esterne e monitor interni: il primo ad arrivarci sarà come al solito il Mercedes Actros, unico sostenitore delle mirror cam negli anni in cui, più che sui camion, si diffonderanno con maggior rapidità sugli autobus. 

La rivincita degli olandesi 

(descrizione) Almeno fino all’arrivo dei Daf XG, nel 2021. Gli olandesi che tiravano avanti oltre 35 anni con la cabina del modello 95 poi divenuto XF, grazie a un progetto tutto nuovo sono i primi a sfruttare il bonus sulla lunghezza massima ammissibile dei complessi veicolari. E si vede da come i designer di Eindhoven siano riusciti a integrare a pieno i quasi 40 centimetri in più sull’intero camion e non solo nel muso. Un profilo ancor più affusolato, ma decisamente più lungo, sarebbe stato assai meno gestibile a fronte di un guadagno del Cx tutto sommato modesto rispetto a quello che è diventato poi l’XG di serie. Tolti i Daf, a parte il lifting che ha stirato il frontale dell’Actros L facendolo confondere con l’omonimo elettrico, l’unico altro alfiere del prolungamento del muso è stato il Volvo FH, però questa è un’altra storia, che vi raccontiamo nelle prossime pagine con la prova dell’Aero.